Milano, 22 giugno 2016 - 09:36

Maturità 2016: Eco, il voto alle donne, il Pil, padre e figlio, spazio, paesaggio e confini
Ecco tutte le tracce del tema - Leggi

La traccia sul valore del paesaggio quella più gettonata. Per l'analisi del testo di Umberto Eco solo il sei per cento di preferenze. E i liceali scelgono il rapporto padre-figlio

di Pierluigi Battista, Giovanni Caprara, Paolo Conti, Paolo Di Stefano, Maria Laura Rodotà, Nicola Saldutti, Vincenzo Trione

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Umberto Eco e le funzioni della letteratura

Era uno dei temi più attesi: Umberto Eco, scomparso il 19 febbraio scorso. Ma solo sei studenti su cento si sono messi alla prova con il brano tratto dalla raccolta di saggi «Sulla letteratura» (Bompiani 2002). La traccia più gettonata della Maturità 2016, invece, è quella sul «Valore del paesaggio» (ambito Storico-Politico), scelta dal 23,2% dei maturandi (soprattutto di istituti tecnici: il 25,5%, mentre fra i liceali la traccia più scelta è stata quella sul rapporto padre-figlio nelle arti e nella letteratura del Novecento: 22,5%, e 16% in generale). In seconda posizione il tema di ordine generale sui significati del confine, svolto dal 22,4% dei candidati. Il 16,9% degli studenti ha optato per la traccia di ambito Tecnico-Scientifico «L’uomo e l’avventura dello spazio». L’8,5% ha preferito la traccia di ambito Socio-Economico, che invitava a riflettere sul PIL come misura della crescita e dello sviluppo. Il 7% ha svolto la traccia storica, quella sul primo voto delle donne in Italia nel 1946. Qui sotto il commento per l'Analisi del testo di Umberto Eco, di PAOLO DI STEFANO

Umberto Eco (Fotogramma) Umberto Eco (Fotogramma)

Ben scelto. D’altra parte ci si poteva aspettare (le voci lo davano per probabile) un brano di Umberto Eco. Questo è ben scelto, perché nel tempo dell’utilitarismo economicista e produttivo, l’utilità dell’inutile (come recita il titolo di un libro di Nuccio Ordine) è un concetto fondamentale anche per gli studenti che si avviano all’università. E magari anche sarebbe utile (scusando il bisticcio) riflettere sull’inutilità dell’utile o di ciò che ci viene spacciato come tale. Vi ricordate la famosa lettera di Eco a suo nipotino sulla necessità di imparare a memoria «La vispa Teresa»? Ecco, è questo come quello un comunicare alle generazioni future, una sorta di messaggio testamentario (anche se Eco avrebbe odiato questa formula): un invito a coltivare quel che è solo apparentemente superfluo, perché tra il superfluo e l’indispensabile il confine può essere labilissimo. Tra i beni immateriali c’è sicuramente la letteratura, la cui gratuità, dice Eco, non va ridotta a quella dello jogging o delle parole crociate. Non equivochiamo. (Da notare come lo stesso Eco, spaziando dall’alto al basso, abbia cercato e spesso trovato nella letteratura colta le chiavi per leggere il mondo quotidiano e la cultura popolare). Eco va al cuore della questione, in modo confidenziale, ironico e insieme profondo (come parlando con il suo nipotino, ma permettendosi, senza farlo notare, di inserire complicati concetti di narratologia): pochi saggisti e accademici hanno saputo fare come lui. Cita il De vulgari eloquentia per dimostrare come la letteratura riesca a orientare la lingua. Ma cita anche Omero, Lutero e Puskin per segnalarci il legame tra tradizione letteraria e identità collettiva. E dopo aver esortato alla filologia (fedeltà al testo), l’autore del Diario minimo si ricorda della libertà di interpretazione (su cui ha scritto saggi memorabili) offertaci dai vari livelli testuali: del resto, questo suo approccio teorico Eco lo ha messo in opera al meglio nel suo primo romanzo, Il nome della rosa. Insomma la letteratura ci abitua al massimo del rispetto e al massimo di libertà creativa. Perché l’opera letteraria è un insieme chiuso ma anche un insieme aperto (un ipertesto, si direbbe), ma senza esagerare. Infine, sempre con l’affabilità della sua prosa discorsiva, Eco ci fa volare verso temi altissimi: il Destino e la Morte. Tolstoj, con i suoi intrecci finiti e immodificabili, con i suoi personaggi predestinati, ci insegna anche a morire… E scusate se è poco, direbbe Abatantuono.

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