Mobilità. ANIEF. Cresce l’indignazione per i trasferimenti di 50mila docenti: domani nuove manifestazioni

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ANIEF – La riforma della Buona Scuola sta rivelando tutti i suoi risvolti negativi, a partire da quelli che si nascondevano dietro alla dir poco approssimativa organizzazione del piano straordinario di assunzioni.

ANIEF – La riforma della Buona Scuola sta rivelando tutti i suoi risvolti negativi, a partire da quelli che si nascondevano dietro alla dir poco approssimativa organizzazione del piano straordinario di assunzioni. Non bastava che il progetto di stabilizzazione nazionale escludesse, infatti, almeno 80mila docenti abilitati e 40mila Ata, che avevano pieno titolo ad essere stabilizzati ed invece sono stati inspiegabilmente dimenticatati: ora si scopre, ad un anno di distanza dall’approvazione della riforma, che il legislatore ha prima illuso (lasciando loro svolgere l’anno di prova quasi sempre nella propria provincia) e poi costretto diverse migliaia di persone ad andare ad insegnare anche a mille e oltre chilometri da casa.

A farne le spese sono insegnanti non certo giovani, come la docente di scuola primaria con quasi trent’anni di carriera – oggi intervistata dal quotidiano Repubblica – sballottata, dopo l’anno di purgatorio-prova, a 50 anni di età dall’agrigentino alla provincia di Torino. Anief aveva previsto questo scenario con molto anticipo. Nel corso dei tanti seminari svolti quest’anno, infatti, il presidente Marcello Pacifico aveva collocato i docenti cosiddetti “potenziatori”, assunti con la fase C della Legge 107/2015, in una nuova categoria di lavoratori pubblici: quella rientrante nell’homo mobilis.

“Abbiamo coniato questo termine – spiega oggi Pacifico – perché i quasi 50mila insegnanti immessi in ruolo a fine 2015, molti dei quali ultra quarantenni e cinquantenni, e tutti i futuri immessi in ruolo rischiano d’ora in poi fortemente di essere ‘nominati’ per andare ad insegnare, a turno, nelle cento province italiane. Perché, non dobbiamo dimenticarlo, i docenti inseriti negli “ambiti” sono destinati ad essere periodicamente trasferiti di sede, ogni triennio ma anche prima se il posto che occupano viene meno, e costretti in ambiti territoriali da cui possono entrare ed uscire con estrema facilità se individuati come soprannumerari. È un trattamento professionale assurdo, che non viene riservato probabilmente nemmeno ai militari precettati dall’esercito”.

“A pensarci bene, l’errore di chi ha scritto la riforma – continua il sindacalista – non è molto diverso da quello commesso nel 2011, quando, d’accordo quasi tutti i sindacati rappresentativi, l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti decise di cancellare ai neo-assunti il primo gradone stipendiale. Dimenticando che esiste un principio, garantito costituzionalmente, di equo trattamento dei tutti i pubblici dipendenti: non si può decidere, di punto in bianco, che i diritti vanno garantiti solo a coloro che sono stati assunti fino ad una certa data, dopo la quale si entra nella casta dei paria. Oggi, di fatto, si è venuta a determinare una situazione simile, con i docenti immessi in ruolo con il potenziamento scolastico che non hanno, di certo, gli stessi diritti di quelli stabilizzati qualche anno o addirittura mese prima. Se non si provvede a cambiare la legge, il ricorso in tribunale diventerà la prassi”. Intanto già a partire da domani i docenti sono pronti a scendere in piazza: previste manifestazioni a Palermo, Bari, Catania e Potenza contro una procedura di mobilità che sta facendo acqua da tutte le parti.

Anief si batte perché l’opinione pubblica sia correttamente informata su come, dietro la parvenza della Buona Scuola, si stiano perpetrando queste ingiustizie. Per non parlare dei commenti di certi editorialisti, secondo i quali “se gli insegnanti del Sud urlassero in Italiano capiremmo che vogliono”: “bisogna probabilmente ricordare a questi intellettuali – commenta sempre Marcello Pacifico – che la lingua italiana è nata ai tempi di Federico II, con la scuola poetica siciliana e che alla morte dell’imperatore diversi seguaci di quelle radici si trasferirono in Toscana. Non è un caso se ‘padre’ Dante, dopo 50 anni, nella De Vulgari Eloquentia abbia scritto che la lingua siciliana è l’unica che contenga i tre caratteri: cardinale, aulico e curiale. Che cosa dire, quindi, dopo certi giudizi su quella lingua oggi vituperata, al pari di chi la parla? Credo che basti dire loro Pauca verba et metum studium”.

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