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Diecimila ragazzi da McDonald’s:
i dubbi e le opportunità
dell’alternanza scuola-lavoro

In base all’accordo tra ministero dell’Istruzione e la multinazionale Usa, entro la fine dell’anno scolastico 10 mila ragazzi frequenteranno le sedi del colosso del fast food. L’obiettivo? Acquisire i «soft skills», le competenze trasversali che servono a entrare nel mondo del lavoro. Ma molti studenti temono di essere impiegati come manodopera gratuita. E le proteste si moltiplicano

di Valentina Santarpia
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Sono stati gli studenti di un istituto di Monza a iniziare lunedì 7 novembre l’alternanza scuola-lavoro da McDonald’s. Sono solo i primi: entro la fine dell’anno scolastico, 10 mila ragazzi impareranno, lavoreranno, frequenteranno i locali del colosso del fast food, grazie ad un progetto siglato con il ministero dell’Istruzione. Un’occasione per crescere — assicurano gli esperti di McDonald’s — e acquisire, più che competenze tecniche, quelle «soft skill», quelle competenze trasversali che, secondo gli studi più recenti, sono fondamentali per l’ingresso nel mondo del lavoro. Ma c’è chi grida allo scandalo, come le associazioni degli studenti, che, da quando hanno vista la sigla del «Mc» tra quelle dei 16 campioni dell’alternanza, stanno facendo fuoco e fiamme: «Uno dei punti più bassi che il ministero potesse concepire nell’ambito dell’alternanza».

Il «no» delle associazioni studentesche

Secondo la Rete degli studenti medi, infatti, «le competenze che si presume che gli studenti debbano acquisire durante questi percorsi non sono riscontrabili nell’esperienza dei lavoratori della catena». Rischio di trasformare i ragazzi in operai alla catena di montaggio? Non solo. L’associazione teme pure i risvolti culturali e politici dell’accordo siglato dal ministero dell’Istruzione con l’impero del cibo a buon mercato: «In un Paese che dovrebbe rilanciare l’agricoltura, che può vantare la migliore cucina al mondo, che dovrebbe essere in prima linea per combattere i danni ambientali creati dalla coltivazione e dall’allevamento intensivi», siglare un accordo con il fast food americano appare come una decisione «miope». E la protesta cresce, come dimostra il blitz studentesco di venerdì mattina al McDonald’s di piazza Duomo a Milano (tocca l’icona blu per leggere l’articolo di Antonella De Gregorio; nelle immagini Fotogramma la manifestazione).

Il progetto formativo

Il ministero minimizza: «I momenti di formazione si concentreranno su temi come la sicurezza alimentare, le relazioni con il pubblico, i processi di approvvigionamento e preparazione degli alimenti, i contratti di lavoro e le diverse figure professionali in azienda, il modello di franchising, la supply chain in ambito alimentare». E anche Mc Donald’s si difende: «Il nostro progetto è stato pensato insieme a insegnanti e dirigenti del ministero, e prevede una lunga fase di formazione e informazione sul modello di azienda, sul franchising, su come funziona una catena food, su cos’è la food security. Non li mandiamo mica a friggere le patatine. Solo alla fine del percorso i ragazzi trascorreranno un periodo nei ristoranti, facendo attività di relazione con il pubblico, di accoglienza, di cassa, di assistenza alle ordinazioni».

I dubbi sulla «manodopera gratuita»

Manodopera gratuita? «Inverosimile pensarlo — replica il direttore della comunicazione di Mc Donald’s, Tommaso Valle —. Gli studenti saranno impegnati solo per 3-4 ore al giorno per 10-15 giorni, non potranno certo sostituire il personale: il nostro organico è completo». Ma il nodo resta: «È necessario che siano costruiti percorsi positivi e condivisi che facciano dell’alternanza scuola lavoro un passaggio realmente formativo e che non pongano gli studenti esclusivamente in una condizione restrittiva di impegno lavorativo», insiste la Rete. Il timore è che gli stage possano trasformarsi in maestranze non pagate a uso e consumo delle aziende, nel peggiore dei casi. O in ore sottratte invano allo studio, nella migliore delle ipotesi, vanificate da percorsi arrabattati e improvvisati.

La qualità dei percorsi

Dopo che la riforma della Buona scuola l’ha resa obbligatoria dallo scorso anno, con 200 ore nell’ultimo triennio dei licei e 400 per gli istituti tecnici e professionali, l’alternanza scuola lavoro ha avuto un boom: gli studenti che hanno fatto esperienza fuori dalle classi sono passati da circa 200 mila a oltre 650 mila, con un aumento di scuole che hanno intrapreso esperienze di alternanza record, dal 54 al 96%, e quasi 150 mila strutture che hanno ospitato i ragazzi. Ma in che modo? «La scuola è riuscita ad abbattere quel muro ideologico che la divideva dal lavoro, adesso occorre che le aziende e le istituzioni pubbliche ci aiutino», ammette il sottosegretario Gabriele Toccafondi. E se anche la legge di Bilancio ha introdotto sgravi fiscali per le aziende che assumono studenti che hanno effettuato esperienze di scuola lavoro presso di loro, è evidente che il meccanismo vada un po’ oliato. A partire dalle regole — diritti e doveri — a cui far sottostare gli studenti, come chiede Marcello Pacifico, dell’Anief.

Le esperienze da non ripetere

Nel corso dell’anno scolastico appena finito, infatti, a moltissime esperienze straordinarie, soprattutto realizzate da grandi aziende per i ragazzi degli istituti professionali — dove l’esperienza in azienda è un naturale e utilissimo completamento delle competenze acquisite in classe — si sono affiancati stage più o meno zoppicanti: liceali, soprattutto, spediti in sedi di ordini professionali, parrocchie, convegni, navi da crociera, giornali. O addirittura gite scolastiche barattate per ore di alternanza, come ha denunciato una liceale romana al Corriere. Che ha ammesso: «Era il primo anno, quest’anno sta già andando meglio». Purché non venga spedita a servire McChicken e McNuggets a orde di ragazzini.

11 novembre 2016