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La Buona Scuola ha perso un pezzo

Con l’intesa siglata tra ministro e sindacati salta l’obbligo per gli insegnanti di restare tre anni nella scuola assegnata. I docenti del Sud gioiscono, ma c’è chi vede in arrivo altro caos

08/02/2017
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La Stampa

FLAVIA AMABILE

ROMA

La trattativa è ancora in corso ma una settimana fa al Miur un pezzo della Buona Scuola è stato demolito. È stata firmata una pre-intesa che impegna il ministero e i sindacati a trovare un accordo definitivo sulla mobilità dei docenti. Per la stagione 2017-2018 viene congelato l’obbligo di tutti gli insegnanti di restare per tre anni nella stessa sede. Vale a dire, per molti di loro, a centinaia di chilometri da casa. Si tratta di « una misura straordinaria», ha precisato la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. In realtà i tre anni erano già stati cancellati dai ricorsi vinti, dall’uso della legge 104 che permette di non spostarsi a chi ha parenti da assistere con problemi di disabilità. Soddisfatti i sindacati confederali che sanno di aver offerto una nuova opportunità a chi ne ha diritto di avvicinarsi alla famiglia. Contrarie due sigle. La Gilda ha partecipato alla trattativa ma non ha firmato. «Riteniamo che la Legge 107 vada cambiata - spiega il coordinatore nazionale Rino Di Meglio - Siamo contrari al passaggio della titolarità degli insegnanti dalla scuola all’ambito territoriale, e siamo contrari alla chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici. Sono norme che non condividiamo e non pensiamo che possano funzionare semplicemente con una modifica temporanea. Bisogna cambiare la legge altrimenti non ne veniamo fuori».  

Contrario anche Marcello Pacifico, presidente nazionale dell’Anief: «Questa intesa viola i termini di legge. Non offre soluzioni ai problemi creati dalla chiamata diretta e continua a creare discriminazioni tra gli insegnanti. Si ledono i diritti di chi ha svolto servizio nelle paritarie come precario che non si vede e riconosciuto il lavoro svolto. Lo stesso per gli insegnanti di sostegno o per chi ha frequentato le scuole di specializzazione».  

IL FIDUCIOSO 

Stabile dopo 18 anni ma a 1400 chilometri di distanza. «Adesso spero cambi»  

Dopo 18 anni da precario nel settembre 2015 Ezio Argentero ha avuto il suo primo insegnamento di ruolo. Arrivava da Catania ma la provincia più vicina per cui era disponibile un posto era Varese. Eppure non gli mancavano i titoli, dalla laurea magistrale alle specializzazioni, i master, i perfezionamenti, il suo curriculum è un lungo elenco di titoli, tutti riconosciuti.  

Infatti era in una buona posizione nelle graduatorie a esaurimento, dopo essere andato a Varese ad accettare il ruolo è tornato a Catania dove ha potuto fare l’anno di prova nella sua provincia. «Lo so, altri colleghi non hanno avuto la stessa fortuna ma avevo un punteggio molto alto». Per quest’anno scolastico ha provato a fare domanda di trasferimento. Ha ottenuto una sede più vicina ma era comunque Roma. «Impossibile pensare di trasferirmi, ho due figli piccoli, uno di 8 anni, l’altro di due e mezzo». È rimasto a Roma il tempo di accettare il posto e ha fatto domanda di assegnazione provvisoria a Catania. «Mia moglie non ci sperava, temeva che io dovessi trasferirmi. Io ero più fiducioso. Ora c’è questa possibilità offerta dall’intesa tra sindacato e ministero. Proverò a fare domanda anche se so che non ci sono certezze e che comunque, anche nella migliore della ipotesi, non si saprà nulla prima di settembre-ottobre».  

LA SPERANZA 

«In aspettativa un anno, ma non m’illudo: avere un posto sarà dura»  

Antonella Maggio ha 36 anni, l’anno scorso la legge 107 le ha permesso di avere il suo primo insegnamento di ruolo: un liceo di Genova. Per una persona che vive a Trapani, con due figlie gemelle di 7 anni e un marito con un lavoro di ingegnere radicato sul territorio non era la soluzione migliore. «Ho rinunciato. Per un anno mi sono messa in aspettativa. Zero stipendio ma ho mantenuto il ruolo in attesa di capire se si creavano altre possibilità».  

Antonella è finita a insegnare a Genova perché tutto il suo lavoro precedente non aveva alcun valore in base alle regole previste dalla legge 107. «Noi docenti siamo stati trattati davvero molto male dal governo. Il mio precariato era tutto nelle scuole paritarie. Ma la Buona Scuola non riconosce il lavoro in quel tipo di istituzioni».  

L’intesa tra Miur e sindacati potrebbe rappresentare l’ultima speranza per Antonella ma lei non ci crede. «Farò domanda perché devo tornare a lavorare ma non mi illudo. È vero che avremo una maggiore scelta, potremo fare domanda su 10 ambiti e 5 scuole diverse. Ma è anche vero che avremo un numero inferiore di posti disponibili, solo il 30% sarà destinato alla mobilità interprovinciale, vuol dire limitare moltissimo le possibilità che chi ha un insegnamento di ruolo al Nord come me possa ottenere il trasferimento al Sud. Non riesco a essere ottimista, hanno distrutto le speranze di chi voleva legittimamente provare a trasferirsi privilegiando invece i nuovi che saranno immessi fin dall’inizio a poca distanza da casa. Non mi sembra giusto».  

IL PENDOLARE 

«Pur di avvicinarmi ho lasciato la cattedra che avevo ottenuto»  

Giovanni Portuesi è diventato insegnante di ruolo nel 2007. A luglio - se sarà possibile - vorrebbe provare a fare domanda in base all’intesa raggiunta al Miur con i sindacati e lavorare per la prima volta almeno nella sua provincia, la stessa dove vivono la moglie e i figli. Sono le bizzarrie di chi sceglie di voler fare un lavoro come il maestro elementare. «I posti per insegnare sono tutti al Nord e io vivevo a Trapani», spiega. Il suo posto, infatti, si trovava a 1300 chilometri di distanza. Giovanni aveva due figli all’epoca di 5 e 3 anni e una moglie agente di polizia municipale che non poteva trasferirsi senza rinunciare a lavorare.  

È andata così che Giovanni per nove anni ha vissuto da pendolare tra Trapani e Lucca. «Una vita da parlamentare. Partenza il lunedì mattina presto in aereo, ritorno il venerdì pomeriggio. Senza, però, avere i privilegi dei parlamentari». E quindi biglietti e affitto pagati con i suoi soldi. «Ci ho rimesso l’intero stipendio per sette anni e ho perso un pezzo di vita dei miei figli», sintetizza lui. Per fortuna c’erano i nonni e per fortuna l’anno scorso la legge sulla Buona Scuola gli ha permesso di fare la domanda per avvicinarsi alla famiglia.  

A settembre ha ottenuto un posto non proprio dietro casa, a Catania, oltre trecento chilometri di distanza da Trapani, sul lato opposto della Sicilia. E ha perso la titolarità sulla scuola. «Sono finito nell’organico del potenziamento. Non ho più la mia classe, sono a disposizione del dirigente». In pratica da settembre fa il supplente, in caso di assenze brevi di chi è di ruolo. A luglio proverà di nuovo a fare domanda. Possibilità di ottenere il posto? «Non ho certezze. Posso solo sperare».  

IL DIRIGENTE SCOLASTICO 

«Con questo accordo il prossimo settembre sarà di nuovo il caos»  

Fabio Cannatà dirige il liceo Amaldi, oltre 1700 studenti, 75 classi e quasi 140 professori da gestire nella periferia di Roma. Quest’anno i problemi creati dalle novità introdotte dalla legge 107 non sono stati pochi. «Ma credo che l’anno prossimo la situazione sarà altrettanto complicata grazie alla nuova intesa raggiunta che vorrebbe semplificare la procedura. In realtà per noi dirigenti delle scuole rende il quadro ancora più difficile».  

Che cosa non funzionerà? «La legge 107 ha tra i suoi obiettivi la continuità didattica per tre anni. Con l’intesa si introduce una deroga che fa venire meno la continuità, si offre una nuova possibilità agli insegnanti di trasferirsi. Si prevede la possibilità per i professori di dare 15 preferenze diverse, vuol dire un lavoro enorme per chi dovrà vagliarle. E si introduce una modifica attraverso un accordo che non si capisce come potrà avere maggiore valore di una legge dello Stato e quindi darà luogo a ricorsi che renderanno più complicata una situazione già non semplice. Dobbiamo prepararci purtroppo a un nuovo inizio di anno scolastico nella confusione. Lo scorso settembre abbiamo limitato a una decina le cattedre scoperte ma davvero non so più che cosa rispondere ai genitori che vengono a chiedermi perché ancora una volta i loro figli devono avere degli insegnanti diversi».  

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