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Venerdi 17 e scuola, leggenda e realtà

marzo 17, 2017 • Agorà, Articoli, z in evidenza

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di Giulia Dalla Verde

Eptacaidecafobia. Chi va forte in etimologia sa bene a che cosa questo scioglilingua si riferisca: il terrore del venerdì 17. Chi ne soffre, si arma fin dal giorno prima di amuleti di ogni genere (che qui a Torino sembra non passino mai di moda) e conta le ore che lo separano dall’alba del sabato. La storia della nefasta combinazione è poco chiara, anche se pare consolidarsi con l’avvento del cristianesimo, dopo il quale non sarebbe più riuscita a scrollarsi di dosso la cattiva fama, nonostante la resistenza di qualche tradizione di nicchia che la difende a spada tratta.

Eppure per gli antichi Greci era un numero tutt’altro che sfortunato, per quanto sicuramente carico di significatività: 17 sono le consonanti del loro alfabeto, 9 quelle mute e 8 quelle semivocali. Un rapporto che ritorna nelle teorie cosmologiche e musicali. Già con i Romani inizia a cadere in disgrazia, quando si accorsero che anagrammando XVII si ottiene la triste voce verbale “VIXI”, ossia “sono morto”.

Se poi aggiungiamo la supposizione che la morte di Gesù sia avvenuta di venerdì, lo scenario si fa sempre più funesto. La storia infelice del numero 17 si è trascinata pressoché immutata fino a noi, testimone la flotta di Alitalia che ha preferito eliminare la fila incriminata (ma i suoi detrattori non temono che si nasconda sotto le mentite spoglie della fila 18?).
” ‘A disgrazia”, come è amichevolmente definito dalla smorfia napoletana, ha però un collega ancora più tristemente celebre: il venerdì 13, celebrato da ogni film horror-splatter che si rispetti.

La combinazione antagonista vanta molti più scongiuri nel resto del mondo, che vanno dalla tavola ai piani dei palazzi, passando per le missioni spaziali (per chi ancora avesse dei dubbi sulle cause del fallimento di Apollo 13). Le sue origini si perdono nella notte dei tempi, anche se c’è chi è pronto a giurare che sia tutta colpa di Filippo di Macedonia, che in un atto di imperdonabile imprudenza decise di aggiungere la propria statua a quelle dei Dodici Dèi: inutile specificare che venne brutalmente assassinato poco dopo.
Forse è però il riferimento all’Ultima Cena l’ipotesi più accreditata, che ancora oggi ci costringe a invitare a pranzo un quattordicesimo ospite poco gradito o a eliminare un commensale per non sconvolgere il servizio dei piatti.

Come nessuno guarda il Festival di Sanremo, pochi sono disposti a dichiararsi superstiziosi, anche se una ricerca svolta da un noto sito dedicato ai viaggi ha recentemente dimostrato come durante i venerdì 17 si abbia un calo nella vendita dei biglietti aerei di più del 20%.
Certo non temono la sorte gli organizzatori dello sciopero sostenuto da quasi tutti i sindacati contro la legge 107/2015, la famosa “Buona Scuola”. Tanto, peggio di così… Per venerdì 17 marzo hanno convocato una protesta generale, rivendicando la vittoria del no al referendum sulla quale avrebbe influito molto la sofferenza legata alla riforma scolastica: «il governo invece di raccogliere il segnale dei lavoratori, ha reagito con arroganza antidemocratica, licenziando le otto leggi delega che nel loro insieme completano il processo di distruzione della scuola della Repubblica».

Fulcro dello sciopero il precariato dei docenti e del personale ATA, ma i promotori nominano altri aspetti dei decreti, come la fatidica prova INVALSI, acronimo della lunga espressione «Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione». Esplorando gli anfratti più reconditi del sito ufficiale, ci si perde tra sigle indecifrabili e documenti esplicativi, che sono sempre dei «work in progress» perché il «Quadro di Riferimento» è in perenne fase di sviluppo: uno scenario che farebbe impallidire anche Orwell.

Il quizzettone nato nel 2009 come indagine statistica sul funzionamento della scuola, soprattutto nelle macro-aree delle competenze matematiche e linguistiche, ha assunto sempre più importanza, al punto che potrebbe arrivare a pesare sul voto di maturità. Ma oltre ai questionari cognitivi, gli allievi sono tenuti a rispondere anche al «Questionario dello Studente», una serie di domande personali, alcune particolarmente curiose: si chiede con quale mezzo si raggiunga la scuola, quali siano i voti nelle diverse discipline e i titoli di studio dei genitori. Si domanda agli studenti cosa vorranno fare in futuro e se parlino un qualche dialetto, se dispongano di una camera propria dove studiare e quanti libri posseggano in casa.

L’INVALSI è stato duramente criticato per non tenere conto del ruolo giocato dai contesti socio-familiari nella formazione: «ignorare quasi del tutto la centralità del territorio, della famiglia, degli agenti socio-culturali, per far prevalere, invece, gli esiti di prove unificate significa non volere considerare le diversità del nostro Paese», sostiene l’Anief. Un’accusa rispedita al mittente dalla presidenza dell’INVALSI, che sottolinea l’importanza del Questionario dello Studente proprio «per integrare gli esiti delle prove con informazioni sull’ambiente di riferimento, contestualizzando gli esiti delle scuole».

Nei punti contestati dallo sciopero, anche l’alquanto confusa Alternanza Scuola-Lavoro, «un’esperienza formativa innovativa per unire sapere e saper fare» dice il Miur. Che tipo di fare e di sapere non è ancora molto chiaro, dato che alcune agghiaccianti testimonianze al riguardo raccontano di veri e propri turni lavorativi, senza, ovviamente, alcuna retribuzione. Abolita la classica “tesina”, l’esperienza dell’Alternanza potrebbe far parte della prova di maturità, alla quale si accederà solo se superata la prova INVALSI. A deciderlo, le commissioni parlamentari che lunedì 20 marzo dovranno pronunciarsi approvando gli otto decreti attuativi della legge. Ormai agli sgoccioli, venerdì 17 è l’ultimo giorno utile per incrociare le braccia. E le dita, visto che siamo in tema.

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